Su gentile concessione dell’editore pubblichiamo l’introduzione al libro del Dr. Peter Heusser, Anthroposophy and Science.
E’ attualmente percepibile una tendenza crescente verso una “medicina integrata”; fino ad oggi questa integrazione è consistita nell’assoggettare i metodi della medicina complementare a test di laboratorio in studi di clinica convenzionale presso i centri accademici e, quando positivi, inserirli nella pratica clinica. Quello che ancora manca è un’integrazione concettuale in cui quelle che prima sembravano le incompatibili motivazioni causative biologico-molecolari nella medicina ortodossa e le motivazioni o i metodi non-materiali/energetici in medicina complementare siano condotte su una base comune di mutua comprensione. La medicina antroposofica offre opportunità particolari per questa base di comprensione perché, per sua stessa natura, si basa sull’integrazione di elementi scientifici naturali e spirituali nella formazione, nella teoria e nella pratica e perché, secondo la sua stessa visione di scienza spirituale, corrisponde ad una continuazione del principio di conoscenza scientifico naturale ad un livello di osservazione spirituale. Sia la scienza naturale che quella spirituale sono basate sulla medesima teoria della conoscenza.
L’interesse pubblico internazionale per i metodi olistici o complementari in medicina – inclusa la medicina antroposofica – è comprovato da numerosi studi ed è un fatto ormai generalmente riconosciuto. In generale sono a disposizione diversi metodi nel campo delle medicine complementari ed è in uso un considerevole quantitativo di preparazioni medicinali, il che ha anche una certa importanza economica. C’è perciò una necessità di validazione scientifica comprovata per quanto riguarda la sicurezza e l’efficacia dei metodi complementari. A questo stanno lavorando un sempre maggior numero di scienziati e di centri di ricerca anche in istituzioni accademiche.
Fino a venti anni fa la medicina complementare era principalmente materia per professionisti e medici alternativi; c’erano pochi ricercatori inadeguatamente formati, pochissime erano le cliniche – quasi tutte piccole – per la medicina complementare (ed è ancora così) e, al contrario che per la ricerca medica ortodossa, supportata ampiamente da una massiccia industria farmaceutica, i finanziamenti per la ricerca da parte dei produttori di medicine complementari erano e sono tuttora insignificanti. La valutazione scientifica della medicina complementare era (ed è) spesso altrettanto inadeguata, il che continua a essere fonte di conflitto tra i diversi approcci.
Eppure, questa situazione sembra essere in graduale miglioramento. I fondi statali per la ricerca hanno contribuito a valutazioni sistematiche, come per esempio il progetto del Ministero federale tedesco per l’Educazione e la Ricerca sulle “Terapie mediche non convenzionali” (Matthiessen et al., 1992), il “Progetto Nazionale di Ricerca 34” (NFP34) della Fondazione Nazionale Svizzera per le Scienze (Bauman& von Berlepsch, 1999), il Programma Nazionale svizzero di Valutazione della Medicina Complementare (PEK) (Melchart et al.,2005), e le numerose borse di studio americane del Centro Nazionale per la Medicina Alternativa e Complementare (NCCAM) presso l’Istituto Nazionale di Sanità (http://nccam.nih.gov/) e dell’Ufficio della Medicina Complementare e Alternativa Oncologica (OCCAM) presso l’Istituto Nazionale dei Tumori (www.cancer.gov/CAM/). Facoltà e docenze sono state istituite in Europa presso università di lingua tedesca come per esempio, a Witten/Herdecke, Berlino, Friburgo, Zurigo e Berna ; e un sempre maggior numero di riviste scientifiche peer-reviewed vengono pubblicate. Tutto questo ha migliorato di molto la portata e la qualità della ricerca in medicina complementare ed è chiaro che nel frattempo la medicina complementare ha appreso moltissimo dalla medicina tradizionale convenzionale.
Questo cambiamento ha avuto riflessi anche nella nomenclatura. Mentre vent’anni fa il termine preferito era “medicina alternativa”, da dieci anni è stato adottato il termine più cooperativo di “medicina complementare” ed ora è utilizzata l’espressione ancora più aggregante di “medicina integrativa (o integrata)”. Negli Stati Uniti, in modo particolare, le principali università come Harvard, Stanford, John Hopkins, le università di California, Texas e Mitchigan e altre ancora, hanno rapidamente organizzato centri per la “medicina integrativa” e unito le forze nel “Consorzio dei Centri Sanitari Accademici per la Medicina Integrativa” (CAHCIM) , che include oltre 50 centri. Il Consortium definisce la medicina integrativa come segue: “la Medicina Integrativa è la pratica della medicina che riafferma l’importanza della relazione tra medico e paziente prendendo in considerazione l’intera persona, essa procede secondo evidenza e fa uso di tutti gli approcci terapeutici appropriati, dei professionisti e delle discipline della salute al fine di raggiungere l’optimum nella salute e nella cura” (www.imconsortium.org) . Qualche anno fa questa tendenza si è estesa all’Europa con l’organizzazione di vari congressi (www.ecim-congress.org) e dal luglio 2009 è sorto, presso l’Università Witten/Herdecke, l’Istituto per la Medicina Integrativa– il primo di questo tipo in un’università di lingua tedesca.
Questo ha portato ad un livello nuovo e più profondo la ricerca sulla medicina complementare o integrativa. Fino ad ora l’obbiettivo era principalmente quello pratico di avere un’evidenza scientifica di sicurezza ed efficacia, al di là della natura dei diversi metodi e dei concetti loro sottesi. Sono stati stabiliti i parametri di ricerca rilevanti e l’efficacia e la sicurezza di molti metodi viene gradualmente meglio definita. Purtroppo il risultato è un’”integrazione” di metodi e concetti medici convenzionali e complementari che sono spesso molto diversi tra loro e a volte sembrano logicamente antitetici. Mentre in medicina convenzionale gli eventi biologico-molecolari sono visti come causa ultima delle occorrenze fisiologiche e patologiche della vita e della coscienza, in medicina complementare ci sono spiegazioni per le stesse occorrenze che vengono attribuite a fattori causali non-materiali come la forza chi in medicina cinese, il prana in medicina Ayurvedica, la “forza vitale” in omeopatia, le forze “eteriche” o “astrali” in medicina antroposofica, l’“informazione” in terapia neurale e vari fattori “energetici” in altri sistemi. E i metodi terapeutici utilizzati corrispondono a quei fattori: il tai chi intende armonizzare le forze chi, l’euritmia curativa lavora sul corpo eterico, sostanze omeopatiche potenziate – che, con una diluizione oltre il limite di Avogadro, non contengono più alcuna molecola – per stimolare le forze vitali. I metodi convenzionali e complementari però vengono utilizzati uno accanto all’altro, senza una reale comprensione reciproca. Questa è più ”aggregazione” che “integrazione”.
Una vera integrazione che andasse al di là della situazione odierna vorrebbe dire che questi tipi di terapia non sarebbero solo valutati presso centri convenzionali e accettati nella corrente principale medica se passano il “test”, ma che la loro natura e i concetti su cui si fondano dovrebbero essere compresi, e sviluppati concetti più ampi che comprendano il convenzionale insieme al complementare, il materiale e l’immateriale, in una prospettiva unificata.
Non possiamo semplicemente presumere che l’integrazione concettuale consisterà un giorno nella possibilità di abbandonare i concetti medici complementari in favore di quelli convenzionali e di spiegare le terapie corrispondenti come prodotte da interazioni molecolari biologiche. Questo è ciò che viene intentato a volte, ma generalmente senza successo, perché argomenti come questi sono evasivi quanto quelli che spiegano il fenomeno della coscienza a partire dal funzionamento del cervello. La coscienza, con la sua esperienza reale di qualità emotive e mentali, non viene “spiegata” arrivando alla radice dei processi fisici nel cervello che sono necessari per il manifestarsi di quelle qualità emotive. L’abitudine al pensiero riduzionista degli ultimi duecento anni ha portato concettualmente a negare in certo qual modo le esperienze di tipo non molecolare, in realtà di tipo non materiale, che ogni persona ha giornalmente e che formano una parte considerevole della sua umanità, ovvero della sua vita emotiva e intellettuale, delle sue conquiste e sofferenze. Sono infatti queste abitudini al pensiero riduzionista che influenzano la teoria medica, finanche alla pratica medica. E ciò è almeno parzialmente responsabile dell’insoddisfazione spesso espressa dai pazienti nei confronti della medicina convenzionale nonostante tutto il credito che le viene felicemente accordato, precisamente per questa sua capacità di spiegare le basi fisiche dell’organismo umano e usarle a beneficio del paziente. Uno studio rappresentativo del 2002 dell’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche è un esempio che mostra chiaramente quali fossero le carenze percepite: il 69% degli interpellati chiedeva più umanità in medicina, il 58% più medicina alternativa, mentre solo il 27% chiedeva più cure di base e il 21% più medicina di alto livello; e facendo un paragone diretto con la situazione odierna, una visione più olistica del paziente è considerata una dei requisiti più importanti nel prossimo futuro (Leuenberger & Longcahmp, 2002).
I pazienti si rivolgono alla medicina complementare per quello che non trovano nella medicina convenzionale (Heusser, 2002a). Non può essere escluso a priori che ci possa essere “qualcosa” nel concetto complementare, che gli esseri umani siano in realtà qualcosa di più della loro costituzione fisica, come sembra di fatto ai pazienti, e che a questo proposito la medicina convenzionale possa avere qualcosa da imparare dalla medicina complementare. Ma questo potrebbe essere possibile solo se si potesse tenere tra medicina ortodossa e complementare un dibattito scientifico, al momento inesistente, a livello di concetti medico-antropologici e delle loro basi epistemologiche che affrontasse ciò che già esiste a livello di studi clinici. Solo a quel punto ci potrebbe essere una possibilità di vera integrazione, necessaria se la medicina dovrà essere unificata.
Nonostante la medicina antroposofica sia il più recente tra i sistemi medici complementari, sembra offrire un punto di partenza unico per un dibattito di questo genere. Nei suoi circa novant’anni d’esistenza ha raggiunto un alto livello d’integrazione tra elementi convenzionali e antroposofici sia nella teoria che nella pratica, cosa che non si applica a nessun’altra disciplina medica complementare. Questa integrazione è già presente , nel suo fondamentale principio di base, come espresso da Otto Wolff et al. (Wolff et al., 1990):
“La medicina antroposofica è l’estensione scientifico-spirituale della medicina scientifica naturale. Nel valutare la salute, la malattia e la guarigione, si affida alle leggi fisiche che sono determinate dalle scienze naturali e attribuisce uguale valore alle leggi della vita, dell’anima e dello spirito con le loro mutue dipendenze”.
Questo principio basilare è tale perché la medicina antroposofica richiede un corso normale di medicina presso una Facoltà di Medicina universitaria seguito da un’ulteriore formazione generale o specialistica, mentre gli aspetti antroposofici sono acquisiti attraverso una formazione aggiuntiva regolamentata che, come accade per esempio in Svizzera, porta ad un certificato di competenza riconosciuto dalla Federazione dei Medici Svizzeri FMH . Inoltre i medici e gli ospedali antroposofici fanno parte dell’offerta di servizi sanitari della loro regione e i servizi che forniscono in questo contesto sono coperti dai piani d’assicurazione sanitaria. Gli ospedali antroposofici sono anche centri di formazione riconosciuti per la formazione medica post specialistica nelle varie discipline mediche e in alcuni casi nella formazione degli studenti in medicina. Un altro aspetto di questa integrazione è che la pratica medica e gli ospedali antroposofici sono organizzati, per quanto riguarda la diagnostica e la terapia, esattamente come quelli convenzionali e che gli esami clinici, i test di laboratorio, le diagnosi radiologiche e qualsiasi trattamento convenzionale necessario vengono eseguiti normalmente. La differenza dalla medicina puramente convenzionale sta nel fatto che i reperti e i sintomi in questione non sono interpretati unicamente in accordo con la scienza naturale e la psicologia come nel caso dell’antropologia medica mainstream, ma sullo sfondo più ampio di un’immagine scientificamente espansa dell’essere umano che include corpo, vita, anima e spirito. La storia medica e la valutazione diagnostica possono quindi contenere elementi aggiuntivi e richiedere di conseguenza metodi terapeutici supplementari.
Un fattore in più è che l’antroposofia si considera come una scienza empirica spirituale che è simile alla scienza naturale nella sua propria sfera e che trasferisce il principio epistemologico della scienza naturale al regno della percezione spirituale. Diversamente dalle altre discipline mediche complementari ha le sue radici in sviluppi recenti della scienza europea e si applica allo sviluppo attivo di questa a un livello spirituale.
Per queste ragioni la medicina antroposofica sembra essere particolarmente adatta a contribuire al dibattito tra medicina ortodossa e complementare che a lungo termine può puntare all’obbiettivo di rendere la medicina in sé una disciplina olistica e, in questo senso, concettualmente integrata.
L’obbiettivo di questo libro è di dare un contributo in questo senso. A partire da una base epistemologica secondo Steiner e Goethe, svilupperò inizialmente un concetto scientifico di sostanza che consenta di pensare la materia in fisica, chimica e biochimica in modo da non essere in conflitto con lo spirituale ma che in un certo modo già lo contenga. Su questa base, discuterò fondamentali concetti biologici quali gene, informazione genetica, regolazione genica, autoregolazione organica, morfogenesi e sistemi biologici così da rendere possibile osservare la connessione tra la biologia moderna, il concetto di “tipo” in Goethe e il concetto di eterico in Steiner, e di distinguere tra concetti organici di natura vitalistica empiricamente giustificati e puramente ipotetici. Ciò porterà ad un’indagine della coscienza, della relazione tra corpo e anima, della questione della causazione psicofisica e, in ultimo, la questione della libertà dello spirito umano. Inoltre spiegherò perché la possibilità umana di libertà non è in discussione, nonostante il molto discusso potenziale di prontezza motoria definito da Benjamin Libet.
Partendo da questa base dimostrerò una concezione quadruplice dell’essere umano basata sulle scienze convenzionali, una concezione cioè in cui il corpo fisico, specificamente i suoi aspetti vitali, l’anima e lo spirito saranno definiti secondo le diverse leggi e forze emergenti. Questo porta a un ampliamento dell’antropologia medica nei termini di una concezione integrativa differenziata dell’essere umano, corrispondente a quella antroposofica.
Qui di seguito, l’antroposofia sarà discussa in quanto scienza empirica spirituale. Discuterò brevemente di come l’antroposofia scientifica spirituale sia nata come risultato dello sviluppo scientifico dell’Europa centrale e come fu poi fondata da Steiner. Continuerò poi menzionando la sua applicazione all’antropologia medica e spiegherò come i concetti medico-antroposofici nati da ciò possono essere ricondotti a concetti scientifici moderni, da un lato per permettere l’avvento di una medicina olistica razionale che includa aspetti naturali e spirituali, e dall’altro per permettere – o meglio, esigere – la verifica empirica e scientifica convenzionale dei concetti antroposofici. Infine, su queste basi, rivedrò brevemente lo status dell’antropologia medica ampliata dall’antroposofia che si è sviluppata dal tempo di Steiner e le evidenze riguardo la sicurezza e l’efficacia dei trattamenti antroposofici, come anche i problemi di metodo da questi sollevati.
Le basi per questo intero progetto sono fornite dalle fondamenta scientifiche dell’antroposofia, spiegate secondo il metodo scientifico di Goethe e gli scritti epistemologici fondamentali di Steiner. Dato che questi sono oggi quasi del tutto sconosciuti e inoltre totalmente non riconosciuti – o per lo meno ignorati – da critici della medicina antroposofica, quali Frantz Stratmann (Stratmann, 1988), Klaus Dietrich Bock (Bock, 1993), Thomas Dinger (Dinger, 1996), Robert Jütte (Jütte, 1996), Barbara Burkhard (Burkhard, 2000) e Helmut Zander (Zander, 2007), alcuni dei quali contestano con veemenza il metodo scientifico sostenuto da Steiner , nel Capitolo 2 ho citato Steiner stesso e a lungo sui concetti di conoscenza e di realtà. E’ dimostrato come ciò sfoci in un idealismo empirico ontologico oggettivo che elimina la necessità del riduzionismo e riconosce, al suo posto, i fenomeni e le leggi di ciascuno dei livelli emergenti dell’essere nella loro propria realtà. Il concetto di realtà e conoscenza, propri del lavoro di Goethe e di Steiner, diviene pertanto un elemento universale che se da un lato distingue tutte le diverse aree dell’essere, come la materia, la vita, l’anima e lo spirito l’una dall’altra, dall’altro lato le collega in una visione scientifica nel complesso unificata.
E’ inevitabile che elementi dei principi generali epistemologici e ontologici siano a volte ripetuti nei capitoli specialistici e siano applicati in modo simile usando esempi dalle diverse scienze. Questo per aumentare la coerenza interna del testo e facilitare l’assimilazione di punti di vista potenzialmente nuovi per il lettore.
Mi sono avventurato in questo tentativo di delineare un panorama generale scientifico, epistemologicamente ben fondato, dei diversi campi scientifici, perché la mancanza di una visione generale integrata è una delle principali caratteristiche del nostro tempo di scienze individuali altamente specializzate, e ciò non solo a beneficio dei nostri pazienti e delle nostre pratiche mediche, ma anche a loro detrimento. Sarà dimostrato che una visione generale di questo tipo è fondamentalmente possibile. Questo darà un contributo allo sviluppo scientifico di un’antropologia medica integrata e perciò olistica, ormai necessaria nella nostra epoca e che, secondo l’avvertimento dato da Gerhard Kienle (1923-1983), dovrà essere non solo la familiare conoscenza scientifica ma, senza dubbio, “anche una conoscenza che comprenda l’individualità dell’essere umano” (Kienle, 1980).
Ciò che non potrà essere realizzato nei limiti di questo lavoro è una discussione sistematica della teoria della conoscenza di Steiner e del concetto di realtà su di essa basato in relazione alle più recenti teorie scientifiche. In riferimento a ciò, vi indirizzerei a Helmut Kiene e al suo “Grundlinien einer essentialen Wissenschaftstheorie” e alla sezione sull’epistemologia nel libro di Peter Schneider “Einführung in die Waldorfpädagogik” (Kiene, 1984; Schneider, 1985) . Non c’è dibattito su queste pubblicazioni da parte dei critici menzionati poco sopra, il che è quantomeno sorprendente perché la loro disputa con Steiner e con la medicina antroposofica si basa principalmente sulla questione del metodo scientifico.
Questo lavoro inoltre non può offrire una discussione scrupolosa e sistematica dei principali argomenti in relazione al dibattito corrente prevalente. Questo particolarmente in riferimento alla questione di creazione, al concetto di sostanza, ai concetti biologici, alla relazione corpo/anima, alle questioni sullo spirito umano e la libertà, alla storia della scienza e della filosofia e alla metodologia degli studi clinici. Ciò andrebbe molto oltre i limiti di questo libro e ciascun argomento potrebbe facilmente essere il soggetto di una esauriente monografia. Questa potrebbe essere considerata una debolezza di questo libro, dato che in molte occasioni l’argomento non viene trattato in forma piena e completa e non esaurirà l’esigenza di dibattito dei lettori. D’altronde, data la situazione odierna in cui ognuno di questi campi presenta un’ampia gamma di argomenti di dibattito, ciò sarebbe poco fattibile con il libro di un singolo autore.
A partire da solide fondamenta epistemologiche basate sull’osservazione piuttosto che sulla mera teoria, l’obbiettivo qui è di sviluppare una visione generale internamente coerente dei diversi ambiti di rilevanza per l’antropologia medica, come ad esempio il concetto di sostanza, di biologia, di coscienza e di relazione corpo/anima, di spirito e la possibilità della libertà. Inoltre l’autore punta a dimostrare come l’ulteriore sviluppo dell’antropologia biologica e psicologica sia possibile in un’antroposofia spirituale scientifica che completa l’antropologia, e come i concetti antroposofici in medicina possano essere verificati e sviluppati a favore della pratica medica mediante un lavoro scientifico empirico. Questo include anche esempi tratti dalla ricerca clinica e sperimentale dell’autore.
Allo stesso tempo, questo è il primo lavoro in ambito scientifico che prova a realizzare questo tipo di visione generale antropologico/antroposofica su basi epistemologiche che sia internamente coerente in termini di logica e in accordo con i fatti empirici. Esso fornirà un esempio del modo in cui immaginare un’integrazione concettuale tra medicina convenzionale e complementare. Questa trattazione serve anche come base pratica per il lavoro dell’autore come titolare della Cattedra “Gerhard Kiele” di Teoria Medica e Medicina Integrativa e Antroposofica presso l’Università Witten/Herdecke.